E' con grande affetto e con nostalgia che questa sera (26 Marzo 2001) ricordo Arthur ad un anno dalla sua repentina morte. Com'è cambiato tutto quanto in un anno… La sua presenza discreta ma, direi, implacabile tra le nostre strade di Quezzi da tanti anni è invisibile, ma reale, perché si fa fatica a pensare che Arthur non ci sia.
Mai "personaggio" nella vita reale, conservava dentro di sé e con sé il fascino di un mistero che pareva uscire da una pagina di qualche libro dei tanti che aveva letto.
Nonostante la frequentazione quotidiana, abituale e amicale di Arthur, per me "Sir Arthur", non ho mai voluto o potuto - frenato da me stesso - chiedergli come fosse giunto a Quezzi dal suo Galles e poi avesse deciso di fermarsi proprio qui. Anche se qualcuno tra i presenti lo sapesse, lo prego, non me lo riveli mai: verrebbe a cadermi quasi una leggenda: un "tipo" unico, che non poteva che essere così. Era "Arturo", una specie di Patriarca di qualche pagina della sua amata Bibbia, in un perenne itinerare, sempre pronto ad attraversare la sponda.
Cos'è che la sua bella figura ci lascia. Direi un grande patrimonio spirituale, per tutti. Mi permetto di coglierne soltanto qualche aspetto, perché ciascuno avrà da aggiungere qualcosa di personale.
Legata al suo carattere flemmatico, Arthur ci ha lasciato l'esempio di una grande, svalutata virtù, la lentezza.
Il suo incedere, il suo parlare, per noi ormai così familiari, erano lenti, non studiati o affettati, ma espressivi di tutta una personalità.
Virtù? Sì, virtù. Non so se possedesse un diario (non credo) ma avrebbe potuto benissimo annotare: "Ci sono tre momenti nello svolgersi della nostra vita: quello giusto, quello che è sfuggito, e quello prematuro". E lui era sempre alla ricerca di quale momento vivesse.
Inutile dire che faceva lavorare molto occhi, orecchie e, soprattutto, il cervello. Vi rimaneva attaccato, quasi abbarbicato così a lungo che finiva per scoprire la soluzione giusta. Impegnato nei suoi lavori di traduzione, era tutto un ricercare, confrontare, cesellare per arrivare a rendere la realtà di ciò che aveva intuito dentro.
Arthur possedeva il coraggio, piuttosto raro, di non rassomigliare a quegli oratori che cominciano a parlare, in attesa che magari arrivi nella loro testa qualche idea, qualche cosa da dire. Né imitava quei viaggiatori che girano da per tutto senza vedere niente. Lui si accaniva in "una visione d'insieme reale nata dall'osservazione dei particolari".
Sì, Arturo sapeva innanzi tutto osservare. E non aveva fretta di arrivare alle conclusioni. Quando, però, ci arrivava, erano quelle giuste. Mentre altri, impazienti, erano precipitati dalla parte sbagliata o erano arrivati molto in fretta... da nessuna parte.
Un'altra sua caratteristica inconfondibile. Era un ascoltatore ideale per pensatori inesorabili. Di conseguenza ascoltava molte cose che nessun altro aveva voglia di ascoltare. Continuava a essere curioso anche quando non aveva capito. I pensieri sconosciuti lo riempivano di rispetto. Ecco una grande lezione che ci lascia Arturo: bisogna anche sapersi fermare. Per accorgersi di qualcosa, stupirsi, intuire, scoprire.
Non c'è bisogno di spingersi chissà dove. C'è tutto un mondo vicino da esplorare (che sia qui il "mistero" della sua permanenza a Quezzi?).
Arturo sembrava dirci e ci ripete instancabilmente: bisogna scoprire "l'ignoto all'interno di ciò che è familiare".
Non appariva mai frenetico, impaziente. Consigliava sempre implicitamente, col suo modo di fare: "Per qualunque cosa tu combatta, la devi portare in te da tanto tempo". Sembrava, sembra assicurarci: "Senza lentezza non si può fare nulla, neppure la rivoluzione".
Siamo divorati dall'ansia di vedere dei risultati, dalla smania della promozione finale, dall'istinto del successo immediato. Dobbiamo imparare soprattutto la pazienza, abituarci alle lunghe attese, rispettare le interminabili germinazioni sotterranee. Arturo era sì divorato da tante "passioni" ideali ma l'avvertire l'urgenza di un compito, essere divorati da una passione, non significa bruciare le tappe, improvvisare, scavalcare le estenuanti tappe di una maturazione progressiva.
Riesce più facile correre che camminare. Fare le volate che tenere il passo. Procedere per scatti, convulsioni, folate, che reggere alla distanza.
Tutti abbiamo bisogno di imparare la lezione "insolente" di Arturo.
Non riduciamoci a essere i "forzati delle vacanze" (consumatori voraci di migliaia di chilometri ideali o reali, un occhio sulla strada, uno all'orologio, e purtroppo non ce ne resta un terzo da posare sulla natura circostante), dopo essere stati i "forzati della città".
"Il turista è un barbaro che saccheggia città e territori conquistati" (J. Sulivan).
Lo stesso Sulivan fa osservare che gli uomini che meritano di essere conosciuti sono sempre dei solitari.
Il segreto di Arturo.
A questo "segreto", Arturo univa una profondissima religiosità. Sentirlo citare in inglese alcuni brani della Bibbia, commosso fino alle lacrime talora, come è capitato a me, beh, era un dono stupendo di Dio. Conoscitore profondo di musica sacra, mi accennava a cantate, a mottetti sublimi che qualche genio musicale aveva creato.
Ma voglio testimoniare, proprio legato a questo, un ultimo singolare aspetto di Arturo, l'umorismo. In questi giorni è uscito in libreria un volume dal titolo
"La Bibbia e Groucho Marx!". Come l'ho visto, ho pensato subito a lui, ad Arturo.
Umorismo, virtù cristiana. Quante volte però l'abbiamo separato da Dio! E come non leggere in questo se non le tracce di una congiura perbenista? Quanta felicità, quanta consolazione ci neghiamo se non sappiamo cogliere nelle cose divertenti della vita anche il divertimento di Dio, la sua gioia, il suo umorismo. Che non è separato dalla sua misericordia, dalla sua giustizia, dalla sua bontà, ma fa parte di quello sguardo amorevole che lui posa teneramente sopra di noi. E non è sempre facile da cogliere, come il vero umorismo, fatto di messaggi segreti, di allusioni, di fantasiose metafore.
Forse a Dio non basta essere amato e adorato: vuole anche che lo troviamo simpatico, che ci divertiamo con lui.
In Arthur, lo "humor" di Dio (tutto è suo) diventava facilmente "amor" di Dio.
Un autore spirituale francese, Pierre Talec, in una riflessione sulla morte si chiede:
Quale amore, quale volto, quale paesaggio, quale musica, quale politica, quale città degli uomini vi piacerebbe far vivere in eterno? Conoscendo Arturo, sappiamo quali potessero essere le risposte. Due le voglio rivelare: Quale paesaggio? Certo Quezzi, che spesso andava a contemplare da Camaldoli. Quale musica? Quella di Dio.
Arturo mi salutava sempre, ogni volta che ci lasciavamo con un "se
vedemmo". "Se vedemmo, Arturo, nell'humor e nell'amor di Dio!".